I "Paladini di Francia" di Francesco Niccolini

di Tommaso Chimenti

Questo articolo è stato pubblicato su Scanner il 5/8/2020

"Manichini senza volto, senza età, manichini nelle mani, di chi è manichino, già. Il manichino, si lascia andare, s’abbandona al tuo volere, il manichino spera sempre che la sua sorte cambierà, è un fedele amico fino a quando scoprirà che può andare solo i primi passi, muoverà". (Renato Zero, “Manichini”).

"I saggi e gli onesti sono quelli che fanno la storia, fanno la guerra, la guerra è una cosa seria, buffoni e burattini, non la faranno mai” (Edoardo Bennato, “E’ stata tua la colpa”).

Pare di vedere le marionette di Mimmo Cuticchio, a grandezza naturale stavolta, prendere vita. Muoversi, parlare, seguire il canovaccio del loro testo ma anche chiedersi, farsi domande sul perché la Storia, la loro storia non possa mutare e che si avverino i consueti epiloghi. Siamo a metà tra un dietro le quinte da “Rumori fuori scena” ed il palco della messinscena vera e propria. Una struttura in legno sostiene i fili dei Pupi dagli splendidi costumi curati da Iole Cilento. Si muovono a scatti come robot con poca batteria, nei loro dialetti parodistici, dalle pose fumettistiche e da fotoromanzo. Manca il burattinaio, la mano che li guida. Ed allora leggermente sbandano interrogandosi sul senso della vita e della morte. Dall’alto la voce registica del burattinaio, voce narrante, Carlo Magno, potente e vigorosa, arriva a dettare linee e condotta verso la disfatta finale di Roncisvalle, come l’eccidio spartano alle Termopili. Orlando, che è interpretato a turno da tutti gli attori, ha la calata romana, impostato ora come Totò, adesso somigliante a Sandro Lombardi o con la voce stridula nasale di Carmelo Bene (nato a pochi passi da qui, a Campi Salentina). Chi declama in sardo, chi in siciliano, chi ancora in umbro o con cadenze inglesizzanti o germaniche. E Rinaldo e Astolfo e Medoro e Bradamante e la bella geisha operistica Angelica si materializzano parlando in rima baciata. Quattro attori (eccezionali Silvia Ricciardelli e Fabrizio Pugliese) per una decina di personaggi- cartoni animati. I costumi sono costruiti con pentole e mestoli, scolapasta come elmetto o ampolle di vetro da profumo che contengono il senno degli uomini nascoste all’interno di un impermeabile come esibizionista al parco, o ancora stoviglie e posate da fracasso. Sembra di assistere al disneyano Toy Story dove i giocattoli prendono vita e vigore. Ma aleggia una cappa di rassegnazione: “E’ una vita che facciamo sempre la stessa parte”. Come la sorte di Prometeo, incatenato ad una rocca, costretto a farsi dilaniare il fegato, che gli sarebbe ricresciuto nella notte, ogni giorno dall’aquila, per l’eternità. Sprazzi d’Armata Brancaleone, divertente e tragica allo stesso tempo, del Don Chisciotte che combatte contro i fantasmi. Un lavoro, questo di Niccolini (ha scritto per Marco Paolini, Anna Meacci), sull’attore, sul suo destino di essere all’interno del personaggio, legato, imbrigliato dalla contingenza del testo, ma anche un lavoro pirandelliano sul personaggio stanco di essere sempre uguale a se stesso, di non poter cambiare una virgola del suo destino, del suo percorso. Un lavoro sull’esistenza ma anche sulla possibilità di poter cambiare le cose. Un inno alla vita, un canto civile antibellico. Come le nuvole pasoliniane che passano e cambiano rotta e forma. Meritatissimi i premi ricevuti: l’“Eolo Awards” e quello dell’Associazione Nazionale della Critica.

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