Grand Hotel Albania. Quando Brindisi divenne scuola di accoglienza

di Vincenzo Sardelli

Questo articolo è stato pubblicato su KLP il 9 marzo 2021

Un esodo biblico. Un’alluvione umana verso una salvezza troppo bella per essere vera.
Sono passati trent’anni dal 7 marzo 1991, quando l’Albania smise di essere un regime e spalancò le frontiere. Il dittatore Enver Hoxha era morto da sei anni. Da poco più di un anno era caduto il muro di Berlino.
Il Paese delle Aquile aprì i porti, e gli albanesi presero il volo. 20mila disperati partirono con ogni mezzo: navi, motopescherecci, cargo mercantili di tutte le dimensioni. Ore e ore di viaggio. Spazi angusti, puzza di sudore e di escrementi. 20mila profughi senza una valigia o una camicia di ricambio, senza soldi, né acqua, né cibo. Erano disoccupati, ex carcerati, disabili, studenti, contadini, operai.

“Non abbiate paura (1991-2021) Grand Hotel Albania” è una pièce di Francesco Niccolini che l’attore brindisino Luigi D’Elia ha proposto il 7 marzo in streaming dal Teatro Verdi di Brindisi per ricordare l’anniversario di quell’evento, celebrato con il sindaco Riccardo Rossi, il governatore Michele Emiliano e il premier albanese Edi Rama (trovate disponibile l’audio dello spettacolo per Il teatro di Radio 3).

D’Elia cattura il pubblico con una storia che sa di casa e ricordi. Proprio Brindisi fu l’approdo di quei 20mila derelitti. Cercavano pane e libertà, trovarono una città di 80mila abitanti piena di problemi. Due povertà, così simili così vicine, s’incontravano per la prima volta.
Brindisi, con il suo porto a forma di corna di cervo, è un abbraccio rivolto al mare. «Non abbiate paura» fu l’appello di un sindaco giovanissimo, Pino Marchionna, che invitò la comunità a non rinchiudersi nell’egoismo e a soccorrere chi era partito credendo che l’Italia fosse quella di Canale 5 e delle fiction all’americana, dei balli di Raffaella Carrà, delle creme di nocciola sul pane caldo e dei cocci del Mulino Bianco. D’Elia ricompone i cocci della Brindisi di trent’anni fa: quella del contrabbando e della disoccupazione, dei miasmi della Montedison, dei fumi della Centrale a carbone e delle speculazioni.

Brindisini e albanesi si scrutarono negli occhi e si riconobbero. Guardavano lo stesso mare e la stessa miseria. Erano della stessa pasta, e la stessa pasta mangiarono. Nell’assenza e nei ritardi dello Stato, furono i brindisini a farsi carico dell’emergenza. Dalle finestre le donne calavano sacchi di pane e formaggio. Le mamme portavano teglie di pasta al forno e di melanzane alla parmigiana nelle scuole requisite agli studenti e trasformate in centri d’accoglienza. Le elettrici della Dc aprirono i centri di solidarietà, gli elettori del Pds (anch’essi orfani del comunismo) riesumarono le cucine a gas delle feste dell’Unità.

«Non abbiate paura». Il sindaco Marchionna ripeté l’indimenticabile esclamazione con cui Giovanni Paolo II, il 22 ottobre 1978, aveva inaugurato il suo pontificato, invitando ad aprire, anzi, a spalancare le porte a Cristo. Con fede e coraggio, i brindisini riconobbero Cristo nei fratelli che avevano varcato l’Adriatico. I panettieri aprirono i forni anche di domenica. I cittadini spalancarono le proprie case a tutte le ore, offrendo cibo, docce, biancheria, abiti, coperte. Anche i brindisini lontani da casa per ragioni di studio o di lavoro, sentirono, come mai era accaduto prima, l’orgoglio dell’appartenenza e della comunità.

La collaudata coppia Niccolini-D’Elia propone un esempio di narrazione civile la cui eco risuona nel tempo di pandemia che stiamo vivendo. Il mondo ferito dal Covid ha smarrito le proprie certezze. La tentazione è di trovare vie d’uscita in ordine sparso. L’abbraccio di Brindisi agli albanesi ricorda l’importanza di non disgregarsi.
Sorprende, in questo testo di dieci anni fa, l’uso ripetuto della parola epidemia. Il tappeto di volti di migliaia di albanesi davanti alle tv in segno di vittoria, rinnova – in un tempo di muri e di contrapposizioni – la forza salvifica della solidarietà. Oggi che il muro da abbattere è l’infinitamente piccolo di un virus, l’appello di D’Elia e Niccolini risuona intatto e pertinente.

L’armonia tra i popoli avviene in primis con l’arte. Ecco perché il connubio di musiche dal vivo del brindisino Claudio Prima (organetto e voce) con le albanesi Nevila Cobo (violino) e Merita Alimhillaj (violoncello) è valore aggiunto dello spettacolo. Ritmi mediterranei e suoni balcanici conferiscono al monologo l’energia del radiodramma.
“Non abbiate paura (1991-2021) Grand Hotel Albania” (produzione INTI) è una bellissima pagina di storia e una lezione di educazione civica. Niccolini tesse una trama di cronaca e testimonianze. D’Elia trasforma la parola in carne. La carne diventa emozione negli occhi dello spettatore, valica i teatri vuoti, rinnova i ricordi di chi c’era, rimesta i pensieri di chi quei fatti non li ha mai vissuti.